Fabio Ruggiano (Università degli Studi di Messina)
Durante tutto il Settecento, gli studiosi interessati a questioni linguistiche in Italia provengono da discipline affini come la letteratura e la filosofia, ma anche distanti, come l’economia, la teologia, il diritto. La nascita della linguistica come disciplina autonoma all’inizio del secolo successivo, con l’introduzione, prima di tutto in Germania, del metodo storico-comparativo applicato alle lingue indoeuropee, non produce in Italia un rinnovamento rapido degli indirizzi di studio: fino all’inizio dell’attività di Graziadio Ascoli, negli anni Cinquanta, di linguistica trattano a vario titolo ovviamente letterati alla Monti e Perticari, ma anche intellettuali poliedrici come Cattaneo e Biondelli, storici, archeologi, etnografi appassionati di dialetti, persino medici (come Paolo Marzolo). Tra le diverse concause della lentezza dell’accoglimento del metodo storico-comparativo in Italia, prioritaria è la vocazione italiana allo storicismo, refrattaria ad accettare la riduzione dell’indagine linguistica alla ricostruzione dei processi trasformativi delle forme e incline, al contrario, a rilevare il nesso tra la lingua, la cultura e l’identità di una comunità.